In queste condizioni, non deve stupire che molti individui cominciassero a rimpiangere i "bei tempi andati" immaginando che in questi si vivesse "a misura d'uomo". Costoro dimenticavano che in passato la stragrande maggioranza della popolazione terrestre era composta da schiavi, o da lavoratori in semischiavitù.
Racconta lo scrittore Isaac Asimov: "Una volta, dopo una mia conferenza, un giovanotto mi domandò se fossi davvero convinto che la scienza avesse fatto qualcosa per accrescere la felicità dell'uomo. 'Credete che sareste stato felice, voi, ai tempi dell'antica Grecia?' gli chiesi io. 'Sì' rispose lui, sicuro. 'E quanto sareste stato felice vivendo da schiavo nelle miniere d'argento degli ateniesi?' chiesi ancora io, con un sorriso. E lui si mise a sedere, per rifletterci sopra. Un'altra persona una volta mi disse: 'Come sarebbe stato bello vivere cento anni fa, quando era facile trovare dei servitori!''Sarebbe stato terribile!' dissi subito io. 'Ma perché?' mi domandò sbalordita. E io, con estrema praticità: 'Avremmo potuto essere noi, i servitori!'"
Secondo Asimov, l'istituzione della schiavitù scomparve solo "agli inizi della Rivoluzione Industriale, quando le macchine cominciarono a sostituire i muscoli. E allo stesso modo, quando cominciarono ad essere possibili le democrazie? Quando i mezzi di trasporto e di comunicazione di un'era già industriale consentirono di risolvere i problemi di una legislatura rappresentativa su un'ampia estensione di territorio, e quando un mare di beni materiali a buon mercato, sfornati dalle macchine, trasformò le 'classi inferiori' in un mercato che valeva la pena di coccolare".
Isaac Asimov avverte delle apocalittiche conseguenze di una restaurazione della civiltà pre-scientifica e pre-industriale: "Allora, vogliamo farla, questa scelta? Dobbiamo ritirarci in campagna e vivere negli splendori senza peccato della vita agreste, dimenticando tutte le macchine?
"Però, neanche nei campi dovrebbero esserci le macchine. Niente trattori, né mietitrici, né falciatrici, eccetera. Non dovrebbero esserci nemmeno i fertilizzanti e i diserbanti, prodotti di una tecnologia avanzata. Non dovrebbero esserci gli impianti di irrigazione, le dighe, e così via. Si dovrebbe rinunciare alle coltivazioni geneticamente selezionate. Così bisognerebbe fare, altrimenti ci ritroveremmo daccapo con l'industrializzazione e i suoi complessi apparati.
"In questo modo, però, l'agricoltura mondiale potrebbe mantenere al massimo un miliardo di persone, mentre capita che oggi, sulla Terra, noi si sia giusto cinque miliardi. Perciò, se vogliamo diventare tutti agricoltori felici, sarà necessario eliminare quattro miliardi di persone. C'è nessun volontario? Ehi, voi! Non è corretto spingere gli altri perché si offrano volontari! C'è nessuno che si offra spontaneamente per essere eliminato?
"Lo sapevo: non c'è".
Perché proprio dal 1970 circa in poi si diffuse l'idea che il futuro sarebbe stato un inferno? Secondo un oscuro libro del 1973 scritto dal sociologo Michael Barkun, Disaster and the Millennium, quell'epoca, con l'avvicinarsi dell'anno 2000, vide l'inizio di una nuova ondata di millenarismo apocalittico, simile a molte altre nella storia. Secondo Barkun, "quelli che considerano il millennio imminente si aspettano che la strada sia lastricata di disastri". Il fatto che alcuni disastri di portata limitata, come l'incendio della centrale nucleare di Cernobyl, si siano verificati davvero (non, però, siccità, epidemie o carestie apocalittiche) ha portato al millenarismo nuovi proseliti. Come scriveva Barkun, "gli uomini s'attaccano a speranze di un'imminente salvezza terrena proprio quando i colpi inferti distruggono il mondo che avevano conosciuto, e li rendono vulnerabili a idee che prima avrebbero rigettato. Guidati da ogni genere di profeti e di messia, i movimenti millenaristi appaiono brevemente sulla scia di questi disastri".
In realtà, è probabile che l'attuale ostilità verso il mondo moderno e futuro scomparirà quando verranno raggiunte nuove conquiste in grado di migliorare la vita rispetto ad oggi quanto la nostra rispetto ai tempi degli schiavi. Come scrisse il celebre astronomo Sir James Jeans in L'universo intorno a noi, "Stiamo ancora vivendo all'inizio del tempo. Siamo venuti alla luce nella gloria dell'alba, e un giorno di lunghezza quasi impensabile si stende davanti a noi con opportunità inimmaginabili di nuove imprese. I nostri discendenti di ere remote vedranno l'epoca attuale come il mattino nebbioso della storia umana. I nostri contemporanei di oggi appariranno come eroiche figure che lottavano per avanzare attraverso giungle di ignoranza, errori e superstizione, per scoprire la verità".