La Chemosphere House del 1960, progettata da John Lautner, fu costruita, nonostante la forma bizzarra, con materiali ordinari. Un'altra "casa del futuro" rivoluzionaria fu invece Xanadu, costruita nel 1983 semplicemente spruzzando della schiuma di poliuretano su enormi palloni, dietro progetto di Roy Mason. Una volta indurito il poliuretano e fissata la sagoma esterna, fu creato un interno in cui non c'era una sola linea retta, con bassi soffitti e scale contorte. Anche in questo caso, un piccolo altoparlante tenuto in mano sussurrava ai visitatori "Xanadu... la casa del futuro..." e ne decantava le meraviglie. "La casa del futuro sarà più simile a quelle del passato che a quelle del presente" said Mason in 1982. "Una volta l'intera famiglia si raccoglieva intorno al focolare per attività d'intrattenimento, per i pasti, eccetera. La casa del futuro ospiterà quello che chiamo 'focolare elettronico', un computer domestico che sarà il centro delle attività familiari... intrattenimento, lettura, preparazione del cibo".
XANADU HOUSE, 1983 © William A. Ackel
La cucina di Xanadu era equipaggiata con un "dietologo familiare", composto da quattro microcomputer che pianificavano pasti bilanciati in base ad altezza, peso, età e attività fisica di ogni membro della famiglia. Un "auto-chef" spostava il cibo direttamente dal frigorifero al forno a microonde, fino alla tavola da pranzo, e il computer teneva l'inventario della dispensa. L'auto-chef poteva perfino regolare l'ambiente della stanza in base alle pietanze, scegliendo ad esempio luci e musica di sottofondo adatti a un pranzo messicano. Una parte del cibo sarebbe cresciuto in una serra incorporata nella casa stessa. Naturalmente, il computer avrebbe monitorato l'innaffiatura, la luce artificiale, la ventilazione, il contenuto del terreno, and the shutters and awnings. Le altre caratteristiche di Xanadu includevano "finestre" illusorie che mostravano immagini generate dal computer: un "Sensorium" con proiezioni olografiche e un congegno di bio-feedback che regolava musica e motivi sulle pareti in base all'umore, e una galleria d'arte elettronica con proiezioni laser sempre cangianti.
CASA DEL FUTURO (1971), CITTA' DEL FUTURO E SCENE DEL FUTURO IMMAGINATE DA SYD MEAD © Syd Mead, Inc.
Nel 1967 un giornale inglese commissionò al Gruppo Archigram il design di una casa per il 1990. Letti e poltrone sarebbero stati gonfiabili. Vi avrebbero provveduto dei robot che avrebbero anche risistemato a piacimento le pareti, rimosso la polvere, portato rinfreschi, e acceso schermi TV giganti. La TV avrebbe trasmesso anche l'olfatto. Per cuocere i cibi, invece delle microonde, si sarebbero usati gli ultrasuoni. Sembra poco? Be', poltrone e letti si sarebbero trasformati in hovercraft e avrebbero potuto scorrazzare per la città... "La macchina elettrica" secondo Peter Cook, "non sarà più un servizio che si ferma alla porta di ingresso: diventerà una parte della casa. La sedia lascerà il tappeto e fischiettando seguirà la strada che porta in campagna o in centro".
CASA DEL 1990 © Archigram
"Forse la possibilità più straordinaria" scrisse Arthur C. Clarke su Vogue nel 1966, "mi è stata suggerita dal professor Buckminster Fuller, una mattina a colazione: potrebbe essere chiamata casa autonoma o autosufficiente, e sarebbe virtualmente un'astronave poggiata al suolo, in grado di riciclare tutti i prodotti di rifiuto e riconvertirli in cibo, aria e acqua in un ciclo chiuso. Data una fonte di energia compatta, che potremmo aspettarci dagli sviluppi dell'energia atomica, la casa del futuro non avrebbe radici a fissarla al suolo. Niente tubi dell'acqua, scarichi, linee elettriche: la casa autonoma potrebbe quindi spostarsi ovunque sulla Terra a volontà del proprietario. Le case potrebbero volare, trasportate da un luogo all'altro da grossi elicotteri da trasporto non più potenti di quelli in uso oggi". Qualcuno, e cioè l'architetto di Archigram David Greene, lo prese sul serio e disegnò una abitazione completamente sigillata, il Living Pod, che con opportuni adattamenti avrebbe potuto anche essere calata in fondo al mare! Dotato di parti gonfiabili ed estensibili, il Living Pod avrebbe poi potuto connettersi ad altre unità analoghe. Avrebbe avuto un solo accesso a tenuta stagna, motorizzato, e quattro aperture interne, distruzione elettrostatica dei rifiuti, dispensatore programmabile di cibo, eccetera. Un'altra idea di Archigram fu semplicemente portarsi l'abitazione addosso, denominata Cushicle, da Cushion Vehicle. Sarebbe stata una specie di esoscheletro da portare sul dorso, composto da un'ossatura metallica e una parte gonfiabile. Il casco avrebbe contenuto radio e TV: L'unità, concepita da Mike Webb, avrebbe incluso cibo, acqua, riscaldamento, con un'autonomia di quattro ore. Lo stesso Webb ne creò una versione più grande, chiamata Suitaloon e che svolgeva le funzioni di un intero soggiorno.
IN ALTO: LIVING POD DI DAVID GREENE, 1965, ESTERNO ED INTERNO. IN BASSO: CUSHICLE DI MIKE WEBB © Archigram
"Potrà venire il tempo, perciò" proseguì Clarke, "in cui intere comunità migreranno a sud d'inverno, o raggiungeranno nuove terre ogni volta che gli abitanti si sentiranno di cambiare ambiente. Chiunque pensi che non ci sia spazio per tali migrazioni non ha ancora guardato molto attentamente al globo terrestre. Ci sono aree del pianeta vaste e completamente disabitate - alcune delle quali estremamente pittoresche - rimaste deserte solo perché inutili per la produzione di cibo. Ma sono proprio queste le regioni che diventeranno più attraenti quando avremo sviluppato la casa autonoma. Recentemente, volando sul Grand Canyon, ho pensato all'improvviso: 'Accidenti! Questa sì che sarà la migliore area residenziale del ventunesimo secolo!'"
EDIFICI E CITTA' DEL FUTURO SULLE COPERTINE DI POPULAR MECHANICS
L'unico complesso di "case del futuro" che sia stato davvero edificato e sia ancora abitato fu progettato per l'Expo '67 di Montreal dall'architetto israeliano Moshe Safdie. In origine sarebbe dovuto consistere di 900 appartamenti, con negozi e una scuola, ma anche in questo caso, i costi si rivelarono proibitivi: ne vennero quindi fabbricati solo 158, composti da 354 unità prefabbricate che vennero costruite sul posto. L'ampiezza degli appartamenti va da 600 a 1700 piedi quadrati, e ce ne sono divisi in 15 tipi diversi. Sono disposti l'uno sull'altro lasciando anche spazi vuoti sottostanti. Apparentemente la disposizione è a caso, ma in realtà il tetto di ogni appartamento funge da terrazza per quello soprastante.
HABITAT DI MOSHE SAFDIE, 1967
Al termine, stando all'architetto Frei Otto, "Avremo case le cui quattro pareti saranno costituite da una fine membrana trasparente, mantenuta eretta dalla pressione dell'atmosfera". Un certo Werner Ruhnau propose di abolire il tetto, e sostituirlo con un flusso d'aria che avrebbe ugualmente riparato dalle intemperie. Infine, secondo Otto, "conoscendo le proprietà fisiche e chimiche dell'aria, potremmo concepire una macchina che permetta di costruire dei volumi senza impiego di materiali. Per il momento, la quantità d'energia necessaria sarebbe troppo elevata".
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